Cagliostro: mago o impostore?

Sul conte Cagliostro, al secolo Giuseppe Balsamo, c’è una copiosa letteratura la cui attendibilità risulta, da sempre, di difficile attestazione. Si tratta, indubbiamente, di una figura dai contorni piuttosto foschi nella quale i detrattori hanno visto un falsario, un cialtrone e un prosseneta mentre gli apologeti un mago o addirittura un illuminato. In realtà, come spesso accade, sarebbe più verosimile ritenere valida una posizione mediana.

“Solo Cagliostro” si è scritto “sa chi fosse Cagliostro. In realtà non lo sapeva neanche lui. Se l’avesse saputo, non avrebbe fatto quel che fece, non sarebbe diventato quel che diventò”.

Nato a Palermo il 2 giugno del 1743, si dice fosse figlio di un commerciante, per quanto si ostinasse a nobilitare i propri natali riconducendoli a misteriosi principi orientali.

Pur se decisamente lontano dai canoni di una bellezza classica, il sedicente conte Cagliostro riesce ad esercitare, inspiegabilmente, un grande fascino tanto sugli amici quanto sui nemici come dimostra uno scritto della baronessa Oberkirch, appartenente a quest’ultimo gruppo, in cui la stessa riporta: “non era affatto bello, eppure mai fisionomia più notevole si è offerta alla mia osservazione. Aveva, soprattutto, uno sguardo di una profondità quasi soprannaturale, non saprei rendere l’espressione dei suoi occhi che avevano, allo stesso tempo, fiamma e ghiaccio, attiravano e respingevano, facevano paura e inspiravano una curiosità invincibile”.

Dei primi anni della sua esistenza le notizie sono poche e confuse. Si dice che, dopo essersi trasferito a Roma, avesse sposato Lorena Felciari figlia di un argentiere con cui intraprese viaggi in tutta Europa concedendone le grazie, consenziente, agli aristocratici che la corteggiavano. Il tanto anelato punto di svolta, sembra arrivare quando Cagliostro entra a far parte nel 1777 della massoneria dove si propone come un illuminato e il depositario di un sapere antico e superiore.

Mi preme sottolineare che, all’epoca, la libera arte muratoria era espressione dei principi dell’illuminismo e ad essa aderivano sostanzialmente nobili o ricchi borghesi che potevano diventare facili prede per le mire non proprio edificanti di personaggio al pari del sedicente  conte.

Così, attraverso delle doti indubbiamente istrioniche, Cagliostro elabora la dottrina del presunto “rito egizio” che nulla ha a che fare con gli ideali e i principi della massoneria, di cui pur utilizza la rete relazionale, ma che si propone come una nuova dottrina che sintetizza astrologia, cabala ebraica e spiritismo.

Le cronache dell’epoca lo danno, a questo punto, a San Pietroburgo dove si improvvisa guaritore con chiari doti taumaturgiche che fanno storcere il naso della suddetta baronessa che seguendone le scorribande, di lui scrive ancora: “Egli non guarisce che i sani o almeno coloro la cui immaginazione è abbastanza forte da aiutare il rimedio”.

E questa sorta di delirium tremens non accenna a diminuire neanche quando si sposta in Francia dove, assistendo da guaritore alcuni malati, viene egli stesso colpito da una febbre. Racconterà di essere stato trasportato in un sotterraneo da due uomini misteriosi vestiti di bianco, probabilmente Gesù Cristo e il Profeta Elia, che gli consegnano una veste candida e la spada dell’angelo sterminatore. Da quel momento, convinto di essere diventato fonte di verità e di vita inizia a riferirsi a se stesso con l’espressione “Ego sum qui sum” io sono colui che sono. Ad un certo puntò, però, la fortuna smette di sorridergli; viene infatti coinvolto nello scandalo della collana – raccontato anche da Alexandre Dumas padre nei tre moschettieri – da cui prende il via una violentissima campagna accusatoria nei suoi confronti che si conclude con l’esilio dal regno.

La fine del sedicente conte, viene definitivamente decretata con il suo ritorno nella città eterna dove ben due papi, Clemente XIII nel 1738 e Benedetto XIV nel 1751 avevano condannato la massoneria. Nel mese di dicembre del 1789, infatti, Cagliostro viene arrestato e rinchiuso a Castel Santangelo con l’accusa di “esercizio della massoneria, negromanzia, bestemmie, disprezzo del culto di Dio, Gesù Cristo, la Madonna, dei santi, dei miracoli, delle reliquie e del ceto ecclesiastico”.

Nonostante il pentimento, affidato ad una lettera indirizzata al papa in persona in cui chiede pietà per la sua condotta, viene condannato a morte come eretico. Pena questa poi convertita in ergastolo scontato nella fortezza di San Leo dove viene trovato morto dai suoi carcerieri il 26 agosto del 1795.

Sepolto, senza bara, con un mattone sotto la testa e un fazzoletto sudicio sul viso, si dice che il suo corpo, cercato da molti, non sia mai stato trovato.